Cassazione, Ordinanza n. 10065-2024, 15.04.2024
La conciliazione, anche se sottoscritta alla presenza di una rappresentante sindacale che ha debitamente informato il Lavoratore sugli effetti definitivi, non può essere conclusa nei locali aziendali, perché non sono considerabili un luogo di tutela per il lavoratore. Il riferimento alla “sede sindacale” secondo la previsione dell’art. 411 c.p.c. non è riconducibile alla sede aziendale come luogo “protetto”, non impeditivo alla libera determinazione della volontà del lavoratore. È quanto ha stabilito la Suprema Corte, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n.10065/2024.
A parere degli Ermellini “la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”. Ne consegue che è nullo l’accordo conciliativo sottoscritto in sede aziendale, perché non soddisfa i requisiti di neutralità e indipendenza del luogo in cui avviene l’accordo e, conseguentemente, le rinunce e le transazioni previste ex lege non sono più inoppugnabili ex art. 2113 c.c.
Evidenzia la Corte che “le disposizioni richiamate dall’ultimo comma dell’art.2113 c.c. individuano quali sede cd. protette, la sede giudiziale (artt.185 e 420 c.p.c.), le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato del Lavoro (art.410 e 411, commi 1 e 2 c.p.c.), le sedi sindacali (art.411, comma 3, c.p.c.) oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art.412 ter e quater c.p.c.”).
La sentenza è stata ampiamente commentata ed è stato osservato che, nell’interpretazione della Corte, la “sede sindacale” è stata identificata come luogo fisico della sede del sindacato dei lavoratori, tuttavia, nella prassi l’interpretazione è stata più ampia, riconoscendo la stessa dignità e garanzia di “sede sindacale” anche alle sedi sindacali delle associazioni di categoria (industriali, artigiani, commercianti).
Vi è altresì da rilevare che l’ordinanza n.10065/2024 appare porsi in contrasto con recenti pronunce del Cassazione, in specie n..25796/2023 e 1975/2024 che rispetto a quanto indicato dall’art.2113 c.c., hanno ritenuta legittima la conciliazione anche al di fuori di sede protette (rispettivamente Prefettura e studio oculistico), riconoscendo piena legittimità della conciliazione sottoscritta anche in luoghi “non protetti” se stipulata con l’effettiva assistenza sindacale, a tutela della consapevolezza delle rinunce del lavoratore.
Ora che i Giudici di piazza Cavour hanno affermato che “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art.411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”, sarà da osservare quali orientamenti prevarranno nella Aule di giustizia. Intanto, potrebbe aprirsi una nuova riflessione nell’ambito del dialogo sociale tra datori di lavoro e lavoratori per ridefinire l’effettività dell’assistenza sindacale e quale “sede sindacale” può essere idonea ad interpretare il luogo più appropriato per la conciliazione.