Con la sentenza n. 22362 del 7 agosto 2024, la Sezione Lavoro della Corte di offre importanti chiarimenti in merito alla cessione del quinto dello stipendio, stabilendo che il datore di lavoro non può addebitare ai dipendenti i costi amministrativi legati a tale operazione.
Il caso riguardava un’importante società del settore della grande distribuzione, la quale aveva effettuato trattenute sugli stipendi di alcuni dipendenti a titolo di rimborso dei costi di gestione amministrativa connessi alle pratiche di cessione del quinto. I lavoratori avevano impugnato tali trattenute, risultando vittoriosi nei giudizi di merito.
La Cassazione ha confermato le sentenze di merito, rigettando il ricorso della società.
In particolare, dopo aver preliminarmente inquadrato la cessione del quinto nell’ambito della cessione del credito disciplinata dall’art. 1260 del codice civile, la Corte ha chiarito che, sebbene tale operazione comporti un’attività amministrativa aggiuntiva per il datore di lavoro, essa rientra comunque tra le ordinarie operazioni di gestione del rapporto di lavoro.
D’altra parte, la Suprema Corte ha rimarcato come la cessione del quinto rappresenti per il lavoratore un diritto potestativo, funzionale all’accesso al credito e alla soddisfazione di esigenze personali. Tali esigenze, pur non essendo strettamente connesse alla prestazione lavorativa, sono comunque radicate nel rapporto di lavoro, che costituisce la fonte di reddito che consente l’accesso al finanziamento.
Il Giudice di legittimità ha quindi richiamato il principio il datore di lavoro è tenuto a dotarsi di un ufficio amministrativo idoneo alla gestione del personale, facendosi carico di tutte le operazioni necessarie, incluse, relativamente al caso di specie, quelle relative alla cessione del quinto. Ciò in virtù anche del nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c., introdotto dall’art. 375 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), che impone all’imprenditore di istituire un assetto organizzativo e amministrativo adeguato alle dimensioni dell’impresa.
La Suprema Corte ha precisato che l’unica eccezione a tale principio potrebbe verificarsi qualora il datore di lavoro dimostrasse che l’onere amministrativo legato alla cessione del quinto risulti eccessivamente gravoso rispetto alla propria organizzazione aziendale. Tuttavia, tale prova non può limitarsi alla mera elencazione delle attività svolte e dei relativi costi, ma deve dimostrare l’effettiva insostenibilità di tali oneri in rapporto alle dimensioni e alla struttura dell’impresa.
La sentenza fornisce quindi importanti indicazioni operative per i datori di lavoro, chiarendo innanzitutto che la gestione amministrativa della cessione del quinto rientra tra i normali oneri del datore di lavoro, che non è possibile addebitare ai dipendenti i costi di tale gestione e che, solo in casi eccezionali e adeguatamente provati, il datore di lavoro potrebbe richiedere un rimborso di tali costi.
Dunque, se da un lato la pronuncia della Cassazione tutela i lavoratori da possibili abusi, garantendo loro la piena fruibilità di uno strumento importante per l’accesso al credito, senza oneri aggiuntivi, dall’altro fornisce alle imprese criteri chiari per valutare la sostenibilità degli oneri amministrativi connessi alla cessione del quinto, nell’ottica di un equo contemperamento degli interessi delle parti del rapporto di lavoro.