SEMINARIO “DATA BREACH E SICUREZZA DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE”

22/11/2024-Intervento dell’Avv. Claudia Del Re “Le responsabilità del board nel proteggere i propri flussi informativi e adeguare gli assetti organizzativi, per tutelare l’azienda, le segreterie societari e gli amministratori ” al seminario organizzato da Confindustria Toscana Sud

Avv. Claudia Del Re-Seminario AIDP TOSCANA

24.10.2024-L’Avv. Claudia Del Re interverrà al seminario organizzato da AIDP TOSCANA su “La fiducia nel rapporto di lavoro – I casi di malattia, di fruizione di permessi di cui alla legge 104/92 e il patto di non concorrenza” presso i locali della sede RAI di Firenze

Chiarimenti Ministero del Lavoro sul ruolo del preposto nelle attività in appalto: Interpello n. 4/2024

La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha fornito importanti chiarimenti sul ruolo del preposto nelle attività in appalto con l’interpello n. 4/2024. Il documento risponde a tre quesiti posti dalla Camera di Commercio di Modena riguardanti l’obbligatorietà e le modalità di individuazione del preposto in diverse situazioni lavorative. Dopo aver ribadito l’importanza della figura del preposto, definita dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2008 come la “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa“, la Commissione sottolinea come le recenti modifiche normative intervenute con la L. 17 dicembre 2021, n. 215 di conversione del Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146,  ne abbiano rafforzato il ruolo quale figura di garanzia, rendendo obbligatoria la sua individuazione in pressoché tutte le situazioni lavorative. In particolare, l’art. 26 comma 8-bis del D.Lgs. 81/2008 prevede ora che “nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto“. In risposta al primo dei quesiti formulati dalla Camera di Commercio di Modena, l’interpello chiarisce che è sempre obbligatorio individuare un preposto nelle attività in appalto, anche quando l’attività è svolta da due lavoratori che operano autonomamente senza esercitare funzioni di vigilanza l’uno sull’altro. Questo deriva dalla volontà del legislatore di garantire sempre la presenza di una figura preposta alla vigilanza e al controllo dell’attuazione delle norme di sicurezza. La risposta al secondo quesito è l’occasione per la Commissione di precisare che il preposto deve essere in grado di adempiere effettivamente alle funzioni e agli obblighi attribuitigli dalla legge. Di conseguenza, non sembra possibile che tale ruolo sia ricoperto da un responsabile di commessa (ad esempio un project manager) che non presenzi fisicamente sul luogo delle attività. Il preposto deve infatti essere in grado di svolgere concretamente le funzioni di sorveglianza e controllo previste dall’art. 19 del D.Lgs. 81/2008. Infine, in risposta al terzo quesito, la Commissione ribadisce quanto già affermato nell’interpello n. 5/2023 al quale si richiama: nel caso di un’impresa con un solo lavoratore, le funzioni di preposto devono necessariamente essere svolte dal datore di lavoro, non potendo un lavoratore essere preposto di sé stesso. L’interpello sottolinea come la coincidenza tra la figura del preposto e quella del datore di lavoro vada considerata solo come extrema ratio, a seguito di un’attenta analisi dell’assetto aziendale e in considerazione di una “modesta complessità organizzativa dell’attività lavorativa”. In conclusione, l’interpello n. 4/2024 ribadisce l’importanza e l’obbligatorietà della figura del preposto nelle attività in appalto, chiarendo che tale ruolo deve essere ricoperto da personale effettivamente in grado di svolgere le funzioni di vigilanza e controllo previste dalla legge. Questo orientamento riflette la volontà del legislatore di rafforzare le misure di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro, assicurando sempre la presenza di una figura responsabile della corretta attuazione delle norme di sicurezza.

La Cassazione si pronuncia sulla cessione del quinto dello stipendio: nessuna trattenuta per costi di gestione

Con la sentenza n. 22362 del 7 agosto 2024, la Sezione Lavoro della Corte di offre importanti chiarimenti in merito alla cessione del quinto dello stipendio, stabilendo che il datore di lavoro non può addebitare ai dipendenti i costi amministrativi legati a tale operazione. Il caso riguardava un’importante società del settore della grande distribuzione, la quale aveva effettuato trattenute sugli stipendi di alcuni dipendenti a titolo di rimborso dei costi di gestione amministrativa connessi alle pratiche di cessione del quinto. I lavoratori avevano impugnato tali trattenute, risultando vittoriosi nei giudizi di merito. La Cassazione ha confermato le sentenze di merito, rigettando il ricorso della società.In particolare, dopo aver preliminarmente inquadrato la cessione del quinto nell’ambito della cessione del credito disciplinata dall’art. 1260 del codice civile, la Corte ha chiarito che, sebbene tale operazione comporti un’attività amministrativa aggiuntiva per il datore di lavoro, essa rientra comunque tra le ordinarie operazioni di gestione del rapporto di lavoro. D’altra parte, la Suprema Corte ha rimarcato come la cessione del quinto rappresenti per il lavoratore un diritto potestativo, funzionale all’accesso al credito e alla soddisfazione di esigenze personali. Tali esigenze, pur non essendo strettamente connesse alla prestazione lavorativa, sono comunque radicate nel rapporto di lavoro, che costituisce la fonte di reddito che consente l’accesso al finanziamento. Il Giudice di legittimità ha quindi richiamato il principio il datore di lavoro è tenuto a dotarsi di un ufficio amministrativo idoneo alla gestione del personale, facendosi carico di tutte le operazioni necessarie, incluse, relativamente al caso di specie, quelle relative alla cessione del quinto. Ciò in virtù anche del nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c., introdotto dall’art. 375 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), che impone all’imprenditore di istituire un assetto organizzativo e amministrativo adeguato alle dimensioni dell’impresa. La Suprema Corte ha precisato che l’unica eccezione a tale principio potrebbe verificarsi qualora il datore di lavoro dimostrasse che l’onere amministrativo legato alla cessione del quinto risulti eccessivamente gravoso rispetto alla propria organizzazione aziendale. Tuttavia, tale prova non può limitarsi alla mera elencazione delle attività svolte e dei relativi costi, ma deve dimostrare l’effettiva insostenibilità di tali oneri in rapporto alle dimensioni e alla struttura dell’impresa. La sentenza fornisce quindi importanti indicazioni operative per i datori di lavoro, chiarendo innanzitutto che la gestione amministrativa della cessione del quinto rientra tra i normali oneri del datore di lavoro, che non è possibile addebitare ai dipendenti i costi di tale gestione e che, solo in casi eccezionali e adeguatamente provati, il datore di lavoro potrebbe richiedere un rimborso di tali costi. Dunque, se da un lato la pronuncia della Cassazione tutela i lavoratori da possibili abusi, garantendo loro la piena fruibilità di uno strumento importante per l’accesso al credito, senza oneri aggiuntivi, dall’altro fornisce alle imprese criteri chiari per valutare la sostenibilità degli oneri amministrativi connessi alla cessione del quinto, nell’ottica di un equo contemperamento degli interessi delle parti del rapporto di lavoro.

DECRETO “SALVA INFRAZIONI”-

NOVITA’ SULLE SANZIONI PER ILLEGITTIMITA’ DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO Modifiche in tema di trattamento sanzionatorio per illegittimità di contratti a tempo determinato sono state introdotte dal D.L. 131/2024 “Disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano” (c.d. “Salva Infrazioni”). L’atto normativo è stato adottato in conseguenza dell’avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione relativa alla violazione della direttiva 99/70/CE in materia di lavoro a tempo determinato. Ad avviso della Commissione europea, la normativa italiana non è idonea a sanzionare in maniera effettiva il ricorso abusivo alla sottoscrizione dei contratti di lavoro a tempo determinato, nel settore pubblico e in quello privato. Nella legislazione italiana, nel settore privato, attualmente, qualora il Giudice ritenga sussistente una violazione della disciplina regolativa dei contratti a termine, converte il rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato condannando il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto definita, secondo i criteri di cui all’art. 8 Legge 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, anzianità di servizio, dimensioni dell’impresa, comportamento e condizioni delle Parti). Questa indennità ristora per intero, sul versante retributivo e contributivo, il pregiudizio subito dal prestatore di lavoro nell’arco temporale intercorrente tra la cessazione del contratto a termine e l’emissione della pronuncia giudiziale che ne dispone la sua conversione (art. 28, D.Lgs. 81/2015). Con le modifiche apportate dal c.d. “Salva Infrazioni” si prevede che il Giudice possa riconoscere un’indennità superiore alle 12 mensilità, a condizione che il lavoratore dimostri di “aver subito un maggior danno” e viene eliminata la previsione della riduzione alla metà dell’indennità massima di 12 mensilità “in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”.             Nel pubblico impiego, il principio di accesso nella Pubblica Amministrazione mediante concorso, sancito dall’art. 97 Costituzione, impedisce la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. La giurisprudenza ha riconosciuto al lavoratore pubblico, quale forma di ristoro di “danno comunitario”, il versamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità, al pari della sanzione prevista espressamente per il settore privato. Il D.L. “Salva Infrazioni” modificando l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 (Testo unico pubblico impiego) ha previsto che “nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un’indennità nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”. La disciplina italiana sui contratti a termine è destinata a non acquisire stabilità tenuto conto degli orientamenti della Corte di Giustizia dell’Unione europea e del controllo esercitato dalle istituzioni europee. A tal fine, merita rilevare che in data 3 Ottobre 2024 la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ritenendo che non abbia  adottato misure atte a porre fine all’utilizzo abusivo di contratti a termine e a condizioni di lavoro discriminatorie per il personale scolastico. NOVITA’ SULLE SANZIONI PER ILLEGITTIMITA’ DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO Modifiche in tema di trattamento sanzionatorio per illegittimità di contratti a tempo determinato sono state introdotte dal D.L. 131/2024 “Disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano” (c.d. “Salva Infrazioni”). L’atto normativo è stato adottato in conseguenza dell’avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione relativa alla violazione della direttiva 99/70/CE in materia di lavoro a tempo determinato. Ad avviso della Commissione europea, la normativa italiana non è idonea a sanzionare in maniera effettiva il ricorso abusivo alla sottoscrizione dei contratti di lavoro a tempo determinato, nel settore pubblico e in quello privato. Nella legislazione italiana, nel settore privato, attualmente, qualora il Giudice ritenga sussistente una violazione della disciplina regolativa dei contratti a termine, converte il rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato condannando il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto definita, secondo i criteri di cui all’art. 8 Legge 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, anzianità di servizio, dimensioni dell’impresa, comportamento e condizioni delle Parti). Questa indennità ristora per intero, sul versante retributivo e contributivo, il pregiudizio subito dal prestatore di lavoro nell’arco temporale intercorrente tra la cessazione del contratto a termine e l’emissione della pronuncia giudiziale che ne dispone la sua conversione (art. 28, D.Lgs. 81/2015). Con le modifiche apportate dal c.d. “Salva Infrazioni” si prevede che il Giudice possa riconoscere un’indennità superiore alle 12 mensilità, a condizione che il lavoratore dimostri di “aver subito un maggior danno” e viene eliminata la previsione della riduzione alla metà dell’indennità massima di 12 mensilità “in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”.             Nel pubblico impiego, il principio di accesso nella Pubblica Amministrazione mediante concorso, sancito dall’art. 97 Costituzione, impedisce la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. La giurisprudenza ha riconosciuto al lavoratore pubblico, quale forma di ristoro di “danno comunitario”, il versamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità, al pari della sanzione prevista espressamente per il settore privato. Il D.L. “Salva Infrazioni” modificando l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 (Testo unico pubblico impiego) ha previsto che “nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di

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